Jean-Marie Barotte

Patrimonio artistico di Jean-Marie Barotte

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Jean-Marie Barotte è nato a Milano nel 1954 da padre francese e madre italiana ed è morto sulle rive del Lago Maggiore in Italia nel febbraio 2021. L’artista si forma per nascita attraverso la cultura italiana e quella francese e per scelta si avvicina alla cultura spagnola dalla quale è altrettanto fortemente influenzato, sceglie così di vivere e lavorare tra Milano, Parigi e Ibiza.

Barotte, nei suoi ateliers di questi paesi diversi, si è lasciato attraversare dallo spirito e dal linguaggio di quei luoghi, facendo propria la cultura dei Paesi che lo ospitavano. L’artista è stato capace, di creare una propria lingua, uno stile che traspare nella permeabilità culturale delle sue opere.

“La nuova catalogazione dell’archivio di Jean-Marie Barotte ha reso necessario studiare con maggiore attenzione critica e scientifica una parte significativa della sua produzione legata all’eredità dei maestri. L’eredità ideale dei classici ha portato Barotte a riflettere sul linguaggio stesso della pittura contemporanea come frutto di una rilettura del passato e della sua interpretazione in chiave contemporanea. Segno, tono, velo, nero e luce fanno infatti parte di un lessico che deve le sue origini all’insegnamento di autori del XVII secolo che hanno studiato l’ombra come luogo delle possibilità. Il modello caravaggesco, gli splendori del Siglo de Oro spagnolo o l’identità indelebile della cultura olandese, da Gerrit van Honthorst a Rembrandt van Rijn, hanno alimentato lo studio di Barotte e la sua vocazione a una poetica del buio. La sua vasta formazione letteraria, i testi di Edmond Jabes o di Jacques Derrida, attorno ai quali ha forgiato una narrazione intima tradotta in gesti e colori, ha attinto anche a fonti visive radicate nell’eredità dei grandi pittori fiamminghi, in quell’acuto senso del sacro che sposa il profano all’interno dei dipinti a olio di un’epoca votata ai temi eterni e giganteschi della vanitas e del memento mori. L’analisi dell’opera ancora inedita di Jean-Marie Barotte rivelerà così aspetti inesplorati del suo legame con una tradizione iconografica che ha attraversato l’Europa del Seicento e vede la sua pittura odierna come il risultato di una profonda assimilazione di tali premesse mescolate, però, al vocabolario informale del Novecento e, soprattutto, a quel lato filosofico dell’epicentro parigino, erede degli studi di Georges Bataille. Il grande teorico dell’informe, nel suo celebre progetto di decostruzione dell’estetica tradizionale, definiva l’informe come una “alterazione della forma”, non una negazione, ma uno sconvolgimento delle cose, con la complicità di una “messa in moto delle forme” capace di creare crepe, brecce, ferite. Questo spiega l’evoluzione, la modifica delle ombre di Barotte. Su questo sfondo culturale si possono individuare le radici filosofiche della sua ricerca estetica, che si nutre anche di materia e di energie ipogee, rese liriche da un senso dello spazio cercato nelle implosioni della massa; nella sintesi, in un punto, dei misteri del cosmo”. (Chiara Gatti – Curatrice)

Il patrimonio dell’opera di Jean-Marie Barotte è costituito da circa 2.100 opere su carta e tela.

Per consentire una lettura più approfondita, si è reso necessario codificare l’opera dell’artista. Al fine di soddisfare questa esigenza è stato creato uno strumento per la catalogazione di tutte le sue opere, denominato Archives JMB.

Gli Archives sono stati anche progettati per preservare e proteggere le opere dell’artista e saranno resi disponibili tramite una piattaforma digitale attraverso la quale sarà possibile accedere alla collezione catalogata per tipologia, periodo e tecnica.

Per favorire la diffusione di questo patrimonio Maria Cristina Madau, erede del pittore Jean-Marie Barotte, con la partecipazione dell’equipe del Fondo, decide di selezionare una collezione inalienabile rappresentativa dell’opera dell’artista, di circa 100 opere. Il Fondo si è dato come obiettivo la ricerca di uno spazio museale che possa accogliere la donazione della collezione.

Biografia di Jean-Marie Barotte

Nato nel 1954, da padre francese e madre italiana, dopo il diploma al liceo Scientifico Vittorio Veneto, frequenta gli ambienti del teatro milanese. Negli anni settanta segue i corsi di teatro antropologico della Comuna Baires di Milano, teatro indipendente argentino fondato a Milano nel 1977. Prosegue con l’esperienza teatrale facendo parte del gruppo di attori che con il fondatore storico Mario Montagna fondano il Teatro i a Milano. Dopo queste diverse esperienze della scena culturale dell’epoca, Barotte si addentra nel mondo del teatro di ricerca internazionale, che lo porta a vivere l’esperienza di attore diretto dal regista e pittore Tadeusz Kantor nel 1980. Nello stesso periodo lavora con la compagnia milanese Teatro AlKaest. Nel 1987 partecipa a Documenta Kassel 8 con lo spettacolo di Kantor Macchina dell’amore e della morte. Alla fine degli anni ottanta, con l’esperienza decennale di sperimentazione con il grande regista, in Barotte nasce l’esigenza di sviluppare un proprio linguaggio. La sua ricerca visiva inizia durante le tournée teatrali, realizzando i suoi primi disegni nelle camere d’albergo in giro per il mondo.
Per dare forma al suo pensiero l’artista intraprende quindi un nuovo percorso, comprende che la pratica teatrale non corrisponde più alle sue esigenze e conclude il suo vissuto come attore per dedicarsi interamente all’indagine visiva che lo porterà nel corso degli anni alla pittura. La letteratura e la filosofia sono gli strumenti che lo accompagneranno nel suo cammino; I legami con l’opera letteraria di Edmond Jabès, l’opera poetica di Paul Celan, il percorso spirituale di San Juan de la Cruz, l’opera filosofica di Jacques Derrida, ispirano l’artista in una continua narrazione filosofico-pittorica. La sua opera testimonia un ricorso a una violenza pittorica quasi necessaria per arrivare ad esprimere il concetto di sublime.
L’artista si forma per nascita attraverso la cultura italiana e quella francese e per scelta alla cultura spagnola della quale è altrettanto fortemente influenzato. Sceglie così di vivere tra Milano, Parigi e Ibiza. Nel suo lavoro si lascia attraversare dallo spirito e dalla cultura dei luoghi lo ospitano. Questa straordinaria permeabilità culturale permette all’artista di creare una singolare cifra stilistica che traspare nelle sue opere.
Le sue opere testimoniano una profonda riflessione, formale e concettuale, maturata di pari passo col suo cammino spirituale; quel cammino che nella serie ispirata alla ‘Noche oscura’ di San Juan de la Cruz conduce dall’oscurità alla luce. I neri vellutati fanno affiorare un lontano barlume e rivelano una via alternativa all’oscurità, dando forma a quel continuo dialogo dell’esistenza con la finitudine.
Jean-Marie Barotte, nel corso della sua inesausta ricerca sui mezzi e sul linguaggio stesso della pittura, ha creato il suo proprio nero fumo attraverso una tecnica personale, sedimentando con una ritualità alchemica la cenere, “Ciò che resta del fuoco” (Feu la cendre – J.Derrida). Usava la scrittura poetica e filosofica come detonatore pittorico, affidando all’immagine ciò che il fuoco lasciava.
Jean-Marie Barotte ha vissuto intensamente l’epoca d’oro della vita culturale della Milano tra gli anni ’70 e ’90, periodo che vede protagonisti alcuni dei più importanti movimenti artistici meneghini portati sulla scena mondiale; questo fermento gli consente di formarsi in un contesto favorevole agli incontri internazionali. Nel 2014, Milano a accoglie NEROCENERE, un’esposizione personale alla Fondazione Stelline allora rappresentativa del suo lavoro.

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